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Alessandro Algardi

 

Alessandro Algardi

Tutto il lavoro di Alessandro Algardi con il suo ciclo “Poemi negati e Pagine affioranti” si colloca con coerenza all’interno delle ricerche poetico-visuali, un’area di sperimentazione fiorita, come è noto, negli anni settanta, che predilige l’uso del linguaggio e degli strumenti espressivi, le cui implicazioni, squisitamente concettuali, costituiscono un elemento non solo metaforico ma anche formale. La prima mostra personale di Algardi risale al 1967, nella sua città d’origine, Milano, uno dei luoghi più interessanti nel panorama italiano di questa particolare area della sperimentazione visiva. A Milano, tutt’ora, l’artista tiene uno studio, ma la sua attività si è spostata – nel corso degli anni, e come logica conseguenza di una ricca vicenda espositiva – tra Bruxelles, New York e Londra.

La specificità dell’operare di Algardi va situata sul crinale tra pittura e scrittura. Nei suoi dipinti l’elemento poetico emerge prepotentemente: i quadri sono composti a imitazione di pagine scritte con una fitta calligrafia. Le frasi accumulate e intrecciate divengono intraducibili ed è impossibile risalire all’originario concetto che le ha generate, che rimane irrimediabilmente misterioso e segreto. Questo sovrapporsi di parole intersecate consentono di tessere un racconto mai svelato: non leggibile, poiché situato nello spazio ideale del pensiero.

Quella di Algardi è una scrittura per certi aspetti anche materica che acquisisce spessore se guardata con la luce radente. L’artista stratifica il proprio pensiero e gli dà corpo in una grafia ridondante che rivela un’autentica vocazione al narrare, dichiarata da titoli come Racconto polifonico (2011).

Fin dal primo impatto visivo con l’opera di Algardi Alessandro, lo sguardo è sollecitato alla decifrazione: un accenno alla volontà di dotare lo spettatore di una chiave di lettura è nell’atto stesso di attribuire un titolo – si pensi alla grande tela denominata significativamente Passò del tempo prima che si svelasse completamente (2011) – che sembra una traccia per dare il via a un atto interpretativo mai completamente risolvibile.

La negazione di ogni possibile decifrabilità è enfatizzata talvolta dalla cancellatura di alcune righe di testo e enfatizzata nella scelta del titolo, come per il ciclo Poema negato. In altri casi questo impedimento corrisponde a un gesto che impulsivamente annulla il lavoro di amanuense con un azzeramento che attraversa il dipinto e frantuma l’ordine della pagina-tela. Questo gesto, quasi un segno informale e automatico se viene paragonato alla precisione severa della grafia disciplinata dell’artista, appare come una deroga della mano e della mente alla consuetudine scrittoria che regola il fare di Algardi Alessandro, e che sembra scivolare secondo un impulso improvviso nella furia del gesto.

La ritualità orientale dell’impaginazione, rigorosa e delicata, è un gioco di equilibri compositivi tra pieni e vuoti, tra una narrazione resa visibile attraverso la forma, che si alterna al silenzio della riflessione, tradotta nel quadro con l’uso di spazi bianchi che ricordano il procedere di Mallarmé. Così è nell’opera che l’artista ha denominato Pagina affiorante (2011), oppure in Konzertin C (2010), a dimostrare, quest’ultima, come l’universo musicale, con le sue leggi, sia fonte d’intensa ispirazione forse proprio in virtù del grado sommo di astrazione che la musica riesce a raggiungere.

La scala cromatica è un alternarsi di bianchi dai bagliori accecanti e dalle gradazioni tonali infinite; di neri che hanno la profondità della grafite e dell’antracite; e di rossi che accendono la tela, con tutte le conseguenze simboliche che ne derivano. Così è in Diario rosso (2009) o in Acta diurna ruber (2010).

In questa scrittura concreta e non codificabile, Algardi Alessandro inevitabilmente privilegia l’aspetto formale del significante a scapito del significato, ovvero evidenzia il valore della parola come immagine e sublime metafora del Logos.

(Gabriella Belli, Direttrice musei civici di Venezia)



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